USB Viterbo: Perché uno sciopero delle donne?

Viterbo -

L’8 di marzo è il giorno dedicato da quasi un secolo alla donna. Per anni non ho provato particolare simpatia per questa giornata, direi piuttosto fastidio perché, alla stregua di San Valentino e altre giornate dedicate alla mamma o al papà, era il nostro momento, di essere celebrate con un ramoscello di mimosa e qualche cioccolatino.

 

Non ho ricordo di un insegnante che ci abbia raccontato qualcosa in più del leggendario quanto fantomatico incendio nella fabbrica che uccise tante donne, e che si dice sancisca l’origine di questa commemorazione. Di donne vittime di un sistema oppressore. Per fortuna, ci ammonivano, di discriminazione e violenza sulle donne così non c’era più, almeno da noi, in Italia. Restava la libera uscita dell’8 marzo, gruppi di ragazzine, ragazze e donne di famiglia che, senza fidanzati e mariti potevano divertirsi senza sensi di colpa, almeno una sera l’anno. Erano gli anni 90 e questo è il mio ricordo.

 

Poi dall’inebriante e soporifero profumo della mimosa molte donne si sono destate, di nuovo consapevoli che nessuna conquista è data per sempre e che una ricorrenza ormai stantia di significati possa trovarne di nuovi, condivisi, alla luce di avvenimenti e processi su cui è impossibile chiudere o distogliere lo sguardo.

 

E allora oggi nessuna festa ma uno sciopero, un grande No alle ingiustizie, alle impari opportunità, all’oggettificazione massiccia dei media, al sessismo che diventa molestia, violenza, femminicidio, all’indifferenza paternalistica delle Istituzioni.

Ma nessuna auto-vittimizzazione, al contrario uno sciopero simbolo di un nuovo percorso di auto-affermazione e auto-determinazione.

 

Alcuni si chiederanno il perché di uno sciopero, da cosa una donna oggi debba emanciparsi. Cosa significhi parità di genere. Oltre la piaga violenta di certi uomini su alcune donne, in cosa riguardi tutte le altre. Poco tempo fa una ragazza che conosco, brillante e dedita a una carriera promettente nella sua professione, disse con convinzione che di un uomo che accetta di buon grado di occuparsi della casa non saprebbe che farsene. Non sarebbe un uomo, che possa definirsi tale.

 

Per quanto possa sembrare banale mi ha colpito molto questa affermazione, in cui il binarismo di genere è nettamente introiettato nonostante consapevolezza di sé e volontà di autoaffermazione. Ho sempre creduto che per capire i grandi temi sociali dobbiamo partire da noi, dal nostro quotidiano. Quante volte noi donne rinunciamo a qualcosa in nome di un’abnegazione che consideriamo quasi istintiva? Quante volte ci viene richiesto, pena il dover sopportare un feroce senso di colpa, da tempo interiorizzato? Rinunciamo meno alla carriera per rimanere accanto al partner, affinché lui possa seguire la sua, per prenderci cura dei figli, della casa, per essere considerate e considerarci a posto.

 

A volte però il ricatto è sottile, perché con dei figli piccoli dovremmo lavorare? Il nostro stipendio in fondo basterebbe a malapena a coprire le spese per l’asilo nido o la babysitter. Sì, perché ovviamente gli stipendi sono quelli che sono, per tutti ma soprattutto per noi e lavorare per passione forse è solo un capriccio, retaggio di sogni adolescenziali. Accettiamo di rinunciare e ci diciamo che farlo è una scelta. Rinunciare in fondo significa rifiutare volontariamente un diritto e ci hanno insegnato che farlo è lodevole, degno di una donna che possa considerarsi tale. Dato il diritto, applicata la rinuncia. Oppure per necessità, volontà, spesso desiderio, ci barcameniamo tra famiglia e lavoro, strette nella morsa della precarietà senza garanzie del nostro impiego e la mancanza di un sostegno istituzionale adeguato, in cui il peso del supporto è tutto sulla famiglia d’origine, se c’è, oppure solo su di noi e la persona che ci è accanto, in una solitudine-isolamento a due difficile da gestire.

 

Scegliere consapevolmente di dedicarci a una cosa o all’altra è una possibilità assolutamente condivisibile che dovrebbe essere scevra di ogni ricatto o obbligo imposto da altri. Il tema è complesso e difficilmente può racchiudersi nelle poche righe di un articolo che vuole essere solo uno spunto di riflessione. Ho scelto questa annosa questione tra le altre, forse più urgenti e preoccupanti, perché credo possa riguardare la battaglia quotidiana di tante di noi che, in un momento di passaggio fondamentale della propria vita, si ritrovano ingabbiate, di nuovo, nella morsa di un dover essere e dover fare che di nuovo marginalizza e impone codici di comportamento.

 

Sì alla fine rinunciamo, non solo perché non appoggiate da partner o familiari ma più spesso perché osteggiate da datori di lavoro che, se a malincuore devono accettare e retribuire la maternità poi non rinnovano il contratto o scelgono di licenziare, tanto di una buona causa non hanno bisogno. Lavoro, salario, maternità. Ognuna di noi, partendo da questo può saggiare cosa significhi parità.

 

Da qualche tempo mi occupo di educazione alle differenze nelle scuole superiori ma anche attraverso incontri dedicati a uomini e donne di ogni età. E ho scoperto quanto alcuni stereotipi di genere siano duri a morire e quanto altri siano ormai superati. Qualche giorno fa, durante un incontro con i ragazzi e le ragazze di un liceo si discuteva di stereotipi di genere e una ragazza ha affermato con convinzione quanto per le donne sia naturale prendersi cura della casa e della famiglia, quanto siano istintive la cura e l’abnegazione. Una compagna le ha risposto che senza ombra di dubbio si tratta invece di un’abitudine, non c’è nulla di naturale nel sacrificio, le donne sono molto più di questo.

 

Le donne l’8 di marzo scioperano per dire No alla rinuncia dei propri diritti, ai ricatti più ammalianti o coercitivi, per superare binarismi di genere che separano maschi e femmine alla nascita, sulla base di opportunità e verso destini differenti. Scioperano per se stesse e per chiunque veda negati i propri diritti di essere umano autodeterminante. Come donne eterosessuali, omosessuali, transgender e transessuali. Scioperano perché oggi diritti inalienabili conquistati duramente in tanti anni di lotta stanno per essere attaccati duramente, vedi negli Stati Uniti.

 

Scioperano per abbattere muri, per un mondo di tutti e tutte. Scioperano per affermare, ancora e inequivocabilmente di essere padrone di se stesse, a cominciare dal proprio corpo. Scioperano per uscire dalla gabbia di una categoria pigramente concepita sulla base di una differenza biologica che ha tristemente acquisito un valore negativo, portatore di diritti negati e prevaricazioni. E, consapevoli di questo, scioperano per tutte le altre gabbie, in tutto il mondo. Per una violenza virale che non deve essere solo repressa ma contrastata alla base, partendo da un’educazione alle differenze che contrasti stereotipi e pregiudizi di genere, a scuola ma anche attraverso un’educazione permanente, che riguardi entrambi i sessi.

 

Nello stesso incontro di cui sopra, abbiamo chiesto ai ragazzi e alle ragazze se ci fossero anche degli stereotipi legati al maschile. Abbiamo scoperto che piangere per un ragazzo non è più sintomo di debolezza né di fragilità, che fare il primo passo non è solo appannaggio dei maschi e che cucinare o saper gestire una casa è sinonimo di autonomia. Che le ragazze a volte sono più forti dei ragazzi e che i ragazzi sentono il bisogno di parlare delle proprie emozioni, e piangere.

 

Se a volte ho l’impressione che siamo tanto vicini quanto lontani da una definitiva libertà dalle gabbie di genere, dalle censure e dalle prigioni in cui cercano di incatenare i nostri corpi, mutilandoli e violentandoli, altre, ascoltando le parole dei più giovani, sento la speranza, un modo nuovo di relazionarsi con altri, ma anche il peso della responsabilità per le donne e gli uomini che saranno domani, spero più liberi e più libere, perché la libertà di una è la libertà di tutti.

 

La data dell'8 marzo entrò per la prima volta nella storia della Festa della Donna nel 1917, quando in quel giorno le donne di San Pietroburgo scesero in piazza per chiedere la fine della guerra, dando così vita alla «rivoluzione russa di febbraio». Fu questo evento a cui si ispirarono le delegate della Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste a Mosca quando scelsero l'8 marzo come data in cui istituire la Giornata Internazionale dell'Operaia.

 

Appuntamento mercoledì 8 a piazza del Plebiscito a Viterbo

 

Grazia Bandiera

Usb Viterbo