"Torna il lavoro sì, ma quello flessibile dei padroni"
"Più persone assunte ma per minor tempo, con minori diritti e una sicurezza prossima allo zero"
Dal 2013 in poi, l’Italia è tornata faticosamente a 23 milioni di occupati, ma il lavoro è stato profondamente peggiorato da flessibilità e rincorsa dei profitti.
I freddi dati parlano di una crescita dell’occupazione con un tasso pari al 58%, nella realtà vi sono più persone che lavorano, ma lo fanno per minor tempo, con minori diritti e una sicurezza prossima allo zero.
I blocchi del turn over e l’aumento dell’età pensionabile costringono al lavoro la fascia degli ultra cinquantenni, mentre sotto i 34 anni sono stati persi 2 milioni di posti. Le nuove assunzioni sono caratterizzate da sempre maggior precarietà e, fino ad oggi, gli interventi governativi per incentivare il lavoro stabile non hanno portato risultati concreti.
“In base agli ultimi dati Istat, il calo dei lavoratori a tempo indeterminato sfiora le 100 mila unità, a fronte di 400 mila contratti precari. – ha dichiarato Luca Paolocci dell’Usb Viterbo – Nella sola città di Viterbo un lavoratore su tre ha un contratto irregolare. Dalla crisi ad oggi, nella Tuscia sono raddoppiati i part time involontari, cioè imposti. Una scelta voluta dai datori per mantenere più basso il costo del lavoro e fare maggiore ricorso alla flessibilità”.
I lavoratori vengono assunti con un inquadramento inferiore rispetto alle mansioni svolte, con finte partite iva o completamente in nero.
“Il falso inquadramento a bassa qualifica è uno stratagemma per sottopagare i lavoratori rispetto ad una mansione specializzata, diffuso in tutto il Paese – ha continuato Paolocci -. Nella zona di Viterbo e provincia, le nuove assunzioni di questo tipo riguardano addetti alle vendite, agenti immobiliari, camerieri e baristi. Il 70% dei contratti irregolari quindi pesa nel settore commercio e turismo, proprio quello che dovrebbe essere di volano per città dei Papi. La costrizione all’apertura della partita iva per essere assunti, che si sta diffondendo a macchia d’olio in tutta Italia e la Tuscia non fa eccezione, è la nuova frontiera del pagamento a cottimo. Il lavoratore, infatti, deve sostenere il costo di apertura e mantenimento della P.Iva, ma non ha alcun accesso ai diritti di un lavoratore dipendente (ferie, malattia, permessi, ecc…). Il pagamento è in base ai risultati, senza fisso nè garanzie. Una pratica illegittima che da ai datori la stabilità di un lavoratore dipendente senza gli oneri contributivi e previdenziali previsti. Un abuso talmente diffuso da dare all’Italia lo stravagante primato di minor laureati nella Ue, ma il numero più alto di disoccupati dottori (che in 10 anni sono arrivati ad 80 mila)”.
La diffusione generalizzata di queste forme di cattivo lavoro ha un effetto primario sulla sicurezza. I lavoratori precari, infatti, vengono minacciati di licenziamento se denunciano o lamentano carenze nella sicurezza dei posti di lavoro. Le denunce di infortuni, anche mortali, rispetto allo scorso anno, sono raddoppiati. Nel Lazio, le malattie professionali sono aumentate del 94%, rispetto ad una media nazionale ferma al 25%.
“Dall’inizio dell’anno sono morti di lavoro, in Italia, 533 persone dovuti ad ambienti di lavoro non sicuri, alla mancanza di dispositivi di protezione adeguati e all’assenza del responsabile per la sicurezza, a cui i dipendenti potrebbero rivolgersi per segnalare abusi e mancanze – ha concluso Paolocci -. Nella città di Viterbo le denunce di infortunio superano i 3 mila casi. A questi si aggiungono circa mille morti in itinere, causati dai turni spezzettati (due ore la mattina e due ore la sera) e dal mancato rispetto del riposo settimanale con il giusto e dovuto recupero psicofisico del lavoratore”.
Il sindacato di Base, lotta insieme ai lavoratori, per ribaltare questa situazione perchè il lavoro deve essere un diritto e non una privazione della dignità o, addirittura della vita.