"Nella Tuscia il 50% delle aziende agricole controllate è irregolare"
Usb in difesa dei lavoratori precari e in nero commenta un'inchiesta sul territorio
L’Unione sindacale di base ha messo in atto un’inchiesta sul territorio, in sintonia con gli organi ispettivi, riguardo lo sfruttamento in agricoltura. La metà delle aziende controllate è risultata non a norma in merito a sicurezza e diritti dei lavoratori.
Lo scorso agosto sono morti nel foggiano, in appena 48 ore, 16 braccianti. Tornavano dai campi, dopo 12 ore di lavoro sotto il sole. Viaggiavano stipati su furgoni, senza alcuna misura di sicurezza, quando due tir li hanno travolti.
L’Usb si è mobilitata su tutto il territorio nazionale, nella città di Viterbo sono stati presidiati gli uffici Asl della cittadella della salute. Una partecipata manifestazione per informare e denunciare sulle condizioni di sfruttamento in cui sono costretti ad operare i lavoratori in agricoltura.
In quella stessa occasione, il sindacato ha consegnato a tutti gli organi ispettivi una richiesta di incontro e di accesso ai dati in loro possesso.
Ad oggi, grazie alla collaborazione con l’ispettorato del lavoro, lo Spresal (ufficio ispettivo della Asl), l’Inail e al lavoro portato avanti autonomamente sul territorio, l’Usb lancia l’allarme sulle condizioni di sfruttamento esistenti.
Il 50% delle aziende controllate sono risultate irregolari; su 95 controlli effettuati a cavallo fra 2017 e 2018, 54 datori non avevano rispettato le norme contrattuali e di sicurezza previste dalla normativa.
70 lavoratori sono risultati soggetti a lavoro nero o grigio, con giornate di 12 ore senza alcun rispetto del legittimo riposo fra un turno e l’altro, privi inoltre di qualsiasi protezione individuale (Dpi).
Nel solo 2018, su 23 ispezioni solo quattro aziende sono risultate regolari.
Le violazioni più riscontrate riguardano lavoratori completamente in nero, violazioni di orario rispetto quello previsto ufficialmente dai contratti e mancanze gravissime in fatto di salute sicurezza sul posto di lavoro.
“Ci spostiamo nella Tuscia per la raccolta del nocciolo e la pulitura della pianta, di solito siamo almeno in quattro – racconta un bracciante di origine rumena, che vive stabilmente a Napoli -. Per raccogliere prendiamo 50 euro a giornata, dobbiamo stare alle otto sul campo, poi non so bene, ce ne andiamo alle otto o alle nove di sera. Lavoriamo sempre ci fermiamo mezz’ora, un panino, una bottiglia di vino in tutti e ricominciamo. Un contratto l’ho firmato, dovrebbe essere a giornata, ma non so bene. I soldi me li danno un po’ e un po’, qualcosa me lo versa in banca e qualcosa me lo dà in mano direttamente per le spese correnti”.
La strutturazione della forza lavoro nelle campagne è in continuo aumento e trasformazione, i lavoratori di nazionalità rumena si spostano dal settore edilizio ormai in crisi da anni, allo stesso modo, i migranti dei paesi del Mediterraneo trovano nelle campagne un’occupazione sicura. Così come gli italiani cercano nell’agricoltura una fonte di reddito stabile, in grado di assicurare una copertura economica tutto l’anno e garanzie per se e per la propria famiglia.
Proprio su questo si basano i datori che sottopagano i lavoratori, uno degli esempi più evidente è la pulitura della pianta del nocciolo. Un lavoro di precisione che va fatto per lo più a mano, piegati sulla pianta, che viene pagato (per così dire) 30 cent ad albero.
“Il lavoro peggiore è la pulitura della pianta del nocciolo, a togliere i frustini (polloni) – dice un ragazzo egiziano – Ormai la gente si fida e ci chiamano spesso le stesse persone, anche due volte l’anno, tutto si basa sul passaparola, qui lo sanno che lavoriamo bene e veloci. Noi facciamo tutto a mano, in ginocchio intorno alla pianta con la zappa. Prendiamo 30 centesimi a pianta. Quando va bene e il terreno è lavorato bene, va bene facciamo 200 piante al giorno, in due facciamo un ettaro al giorno senza problemi”.
L’irregolarità nelle misure di prevenzione dei rischi è pressoché totale, i lavoratori non ricevono alcun dispositivo di sicurezza nè contro i raggi solari, nè contro eventuali tagli e contusioni, nè tantomeno contro possibili intossicazioni dovute a fitofarmaci.
In base alle testimonianze raccolte dal sindacato, la salute dei lavoratori è completamente affidata a loro stessi, alle loro conoscenze e disponibilità economiche nel procurarsi i dispositivi necessari. Una pratica illegale, il datore infatti è obbligato a fornire tutti i Dpi previsti per legge.
Questa situazione comporta un aumento degli infortuni, anche con esito mortale e delle malattie professionali. Nella Tuscia, gli infortuni nel settore incidono del 12% su quelli totali, una media pari a circa il doppio di quella nazionale. Dall’inizio dell’anno i morti di lavoro nel Lazio sono già 28, quattro a Viterbo, di questi due nel settore agricolo. Lo scorso anno erano stati cinque. Da gennaio ad oggi, in Italia, i morti sui campi o nel tentativo di raggiungerli sono stati 139.
E’ troppo riduttivo, giustificare una situazione così grave con il tessuto produttivo della zona.
Ai dati ufficiali va aggiunto tutto il sommerso. Al lavoro nero, molto diffuso nelle aziende di medie e piccole dimensioni, si aggiunge il lavoro grigio, ovvero tutti coloro che hanno un contratto, ma esso non corrisponde alla realtà delle ore effettivamente svolte o delle giornate di impiego. Sotto ricatto di licenziamento, i datori segnano lo svolgimento delle 51 giornate (102 minimo in due anni) necessario al raggiungimento dell’assegno di disoccupazione (Naspi), poi licenziano i lavoratori, almeno su carta. Nella realtà, i braccianti continuano a lavorare presso gli stessi datori e questi ultimi si fanno anche consegnare in parte, o tutta, la Naspi.
I lavoratori precari e in nero non vengono neanche mappati dall’Inail riguardo infortuni e malattie professionali, essi, però costituiscono quasi il 60% della forza lavoro.
Ad avviso del sindacato, un ennesimo investimento nella monocultura del nocciolo non può che peggiorare la situazione. Se, infatti, essa non offre alcuna garanzia di tutela in merito di diritti e sicurezza, dall’altra parte annulla la specificità del prodotto e comporta un maggior sfruttamento del suolo, delle falde acquifere profonde e un maggior utilizzo di prodotti chimici di sintesi.
L’Usb Viterbo, al fianco dei lavoratori e in sintonia con gli organi ispettivi, continua il monitoraggio sul territorio, portando alla luce tutte le situazioni di irregolarità con l’obbiettivo che l’agricoltura torni ad essere un patto con la natura, nella tutela dei lavoratori e dell’ambiente e non l’ennesima fonte di becero guadagno per pochi.