Italia lavoro: -10% sulla busta paga se sei una donna!
Il decreto Salva Italia di Monti, il rinnovo del CCNL del Commercio e il Jobs Act hanno destrutturato completamente i diritti di noi lavoratori del commercio. E non hanno aumentato i posti di lavoro, che, come ben sappiamo sono in decrescita, nonostante i ripetuti proclami governativi.
La dura legge del Centro Commerciale sempre aperto e fruibile, non luogo che, nelle grandi città, ha preso il posto dei luoghi tradizionali di svago parchi, centri storici, ville cittadine, ha svilito completamente la tutela degli operatori dei templi dello shopping. E lo stesso trend sta prendendo piede in provincia, dove non fanno che nascere nuovi centri commerciali, anche laddove non vi sarebbe un bacino di utenza.
Noi intanto non abbiamo più diritto a domeniche, festivi, pranzi e cene in famiglia, nemmeno a farcela, una famiglia. E sono infatti proprio le madri lavoratrici quelle maggiormente colpite dalle complicazioni vigenti in molte di queste strutture. Molto spesso ci vengono richiesti orari spezzati da effettuare in nastri orari che iniziano alle 9 e terminano alle 23, non sono previste agevolazioni orarie per chi ha dei figli, in barba alla Costituzione, che vorrebbe invece che alla donna debbano essere garantite le condizioni di lavoro necessarie all’adempimento della sua essenziale funzione familiare e alla protezione della maternità, norme poi modificate nel Testo Unico che prevede la parità di trattamento fra uomo e donna.
Vero è che nel secondo decennio del 2000 sembra anacronistico tirare in ballo la questione della parità di diritti e doveri nella gestione familiare. Ancor più vero che a tutt'oggi è innegabile che la cura dei figli ricada in gran parte sulle spalle della donna. le tutele vigenti (allattamento, permessi, malattie bimbo), ad ogni modo, spesso non vengono applicate perché ci viene risposto troppo di sovente intralciano la struttura tecnico organizzativa del lavoro nei negozi.
Viene fatto un larghissimo uso del part time nel lavoro femminile. Anzi, la madre lavoratrice, ad un certo punto della sua vita lavorativa, si trova quasi sempre in condizione di doverlo richiedere con, come risultato, l'abbassamento del salario accompagnato da orari comunque non sempre consoni alla gestione familiare come il part time verticale, che impegna l'intero fine settimana e, evidentemente, non agevola affatto.
Accade spesso, peraltro, che in fase di colloquio ci venga richiesto se intendiamo sposarci e avere figli e che questo rappresenti un discrimine, niente affatto celato. Nonostante la nostra sigla sindacale abbia più volte denunciato questo “malcostume” esso sembra sia piuttosto lontano dal non verificarsi più.
Dobbiamo inoltre essere esteticamente accettabili per vendere i prodotti più disparati ,vestiario, accessori, alimentari, elettronica di consumo, per far fronte alle esigenze di una società votata sempre di più all'apparenza. Ergo, se non sei carina non lavori. Sono frequenti i casi di donne discriminate sul posto di lavoro o non assunte perché non rispondenti a determinati canoni estetici.
Il salario della donna, infine, è tuttora più basso rispetto a quello maschile in tutta Europa. E l'Italia non è esente da questa discriminazione: il divario retributivo fra i sessi è di circa il 10 %.
Un breve inciso su una realtà molto diversa dalla nostra, culturalmente e geograficamente. In Rojava in poche generazioni, si è realizzata una rivoluzione politica e culturale forse unica nel suo genere. In questa regione del Kurdistan siriano si sono infrante le regole di una società di stampo fortemente patriarcale, in cui la donna era considerata decisamente inferiore e complementare alle esigenze maschili.
Se queste donne, velate e sottomesse fino a pochi decenni fa, si sono poste alla pari con i maschi, anche e soprattutto le donne occidentali possono compiere questo passo. Con l’autodeterminazione. Con la consapevolezza quindi che rappresentano una massa in grado di cambiare, di rivoluzionare lo stato attuale delle cose.
Le lavoratrici, le madri, le migranti, insieme, unite, possono marciare e riprendersi tutti i loro diritti: il diritto a non essere discriminate, il diritto a non essere picchiate, il diritto a non essere molestate, il diritto a non essere violentate, il diritto di fare figli oppure di non farli, il diritto di stare da sole o di avere accanto un uomo che le rispetti e che non le consideri un oggetto.
Per questi motivi, l'8 marzo scioperiamo. Saremo in piazza del Plebiscito alle ore 15,30 insieme al Movimento Non Una di Meno per manifesteremo contro lo sfruttamento del lavoro delle donne, contro la violenza maschile.
Usb Viterbo