Il sindacato deve tornare a lottare nei quartieri e a vedere il lavoratore come un cittadino
Paolocci (Usb): "Conoscere i propri diritti e costruire vertenze sul territorio, il lavoro che stiamo portando avanti"
“Il sindacato deve tornare a lottare nei quartieri e a vedere il lavoratore come un cittadino che ha problemi con sanità, casa e bollette”. Intervista di bilancio di fine anno a Luca Paolocci dell’esecutivo dell’Usb Viterbo, sindacato di base dei lavoratori. “il sindacalismo di base – ha poi detto Paolocci – sta sviluppando in questi anni un percorso unitario. Conoscere i propri diritti e costruire vertenze sul territorio, il lavoro che stiamo portando avanti come sindacato”.
Paolocci, come si chiude il 2021 dal punto di vista sindacale? Il punto di vista dell’Usb.
“Il nostro è un giudizio molto negativo. Molte vertenze sono state chiuse in maniera disastrosa e diversi diritti del lavoro hanno fatto un ulteriore passo indietro. Non solo, ma siamo all’inizio del 2022 e ancora in alcune realtà le disposizioni anti Covid non sono rispettate pienamente. Dopodiché i rapporti con il governo si sono ulteriormente appiattiti. E in tal senso lo sciopero generale di Cgil e Uil del 16 dicembre non è servito a niente. Non c’è stato nemmeno un seguito di mobilitazione. L’unica cosa positiva è stata la ritrovata unione di tutto il sindacalismo di base che sta cercando una propria sintesi anche qui a Viterbo con il comitato Tuscia in lotta. Dopo anni di sindacalismo di base dove ognuno ha lottato per conto suo, adesso stiamo cercando un momento di sintesi attraverso lotte, assemblee e uno sciopero generale”.
Cosa si intende per “momento di sintesi”?
“Significa unire tutte le sigle del sindacalismo di base. Ci sono delle posizioni differenti, ma anche delle cose che legano. Si sta guardando a quest’ultime piuttosto che alle prime”.
Quale è il minimo comun denominatore tra le forze del sindacalismo di base?
“Innanzitutto la contrarietà alle politiche del lavoro del governo. Dopodiché la ricerca di nuove tutele per i lavoratori precari. Un momento importante di unità sindacale, qui a Viterbo, è stata la battaglia per le lavoratrici all’assistenza per l’educazione nelle scuole. Usb e SiCobas abbiamo vinto una battaglia che abbiamo portato avanti insieme. Poi ci sono differenze importanti anche tra di noi. Ad esempio Si Cobas è più un sindacato all’americana con una presenza all’interno delle aziende. Noi più un sindacato confederale. Però in quella vertenza specifica sul territorio abbiamo trovato un momento comune, un momento di sintesi a tutela delle lavoratrici e ci siamo riusciti”.
Che vuol dire invece dare “un seguito di mobilitazione”?
“Significa che dopo si resta uniti, muovendosi con le stesse parole d’ordine e la stessa forza. Cercando in ogni singolo punto critico ciò che ci unisce e su questo punto costruire una rivendicazione”.
Quali sono le differenze tra il sindacalismo di base e il sindacalismo confederale di Cgil, Cisl e Uil?
“Il sindacalismo di base nasce nella seconda metà degli anni ’70. Quando nel 1976 al congresso dell’euro impose di nuovo la politica dei sacrifici agli operai. Lì sta la rottura tra il sindacalismo di base e il sindacalismo confederale. Quest’ultimo punta solo sulla ricerca esasperata della concertazione. Cosa che non prevede però di ottenere risultati attraverso strumenti di lotta. Non solo, ma il sindacato confederale tende sempre a far propria ed esclusiva la rappresentanza sul posto di lavoro, anche se hanno meno iscritti rispetto al sindacalismo di base. Inoltre una cosa enorme che ci divide all’interno dei contratti sono l’assistenza sanitaria e l’assistenza previdenziale. Sono soldi che potrebbero invece restare a Inps e regioni e sono le associazioni. Il nostro è un modo diverso nel rappresentare i lavoratori”.
Quali sono gli strumenti di “lotta” oggi a disposizione dei lavoratori?
“Gli strumenti di lotta vanno costruiti. Dopo il Jobs Act è cambiato tutto. Adesso se un’azienda vuole licenziare un giudice non più entrare nel merito della questione. Oggi il primo strumento di lotta è conoscere i propri diritti e su questi unirsi. Questo per quando riguarda i lavoratori con un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Ci sono poi i lavoratori precari e quelli che lavorano in nero. In questo caso lavoriamo affinché possano costruire una vertenza. Come sindacato abbiamo fatto diversi corsi su questo tipo di lavoro. Su come costruire una vertenza”.
Come si costruisce una vertenza?
“Una vertenza si costruisce tenendo conto di tutto ciò che accade giorno per giorno. Ade esempio noi regaliamo a ciascun lavoratore un’agenda in cui poi il lavoratore scrive l’ora in cui va al lavoro, quella in cui entra, cosa fanno e chi hanno incontrato, quando smettono e chi hanno incontrato anche in quel momento, se firmano delle bolle o vedono delle persone oppure servono dei clienti. Si devono segnare tutto e laddove possibile fare anche delle foto sul posto di lavoro. Tutto questo lavoro diventano poi prove documentali che l’avvocato porterà davanti al giudice di un tribunale. Una vertenza sindacale si costruisce in questo modo, e su questo facciamo dei veri e propri corsi con un libricino: ‘Come difendersi dal lavoro nero e dal lavoro grigio’. Perché quello che è ancora più pericoloso del lavoro nero è il lavoro grigio. Ti assumo 8 ore ma te ne faccio fare 12 al giorno, poi se viene l’ispettore gli dico che questo è assunto”.
Una volta che il lavoratore si è appuntato tutto, come interviene il sindacato?
“Si possono fare molte cose. Se i lavoratori sono tanti, si possono fare delle denunce agli enti preposti invitandoli a fare dei controlli a partire dalla documentazione di cui disponiamo. Facciamo delle denunce all’ispettorato del lavoro, all’Inps, alla Finanza per evasione fiscale e per danno erariale. Se invece si tratta di un singolo lavoratore interveniamo con l’avvocato dell’ufficio vertenze e facciamo causa all’azienda. Tuttavia il nostro obiettivo è l’organizzazione dei lavoratori. Soltanto in questo modo possiamo rendere permanente la tutela dei diritti dei lavoratori. Altrimenti chi non li rispetta attende semplicemente che gli arrivi il controllo dell’ispettorato. Attualmente un’azienda è controllata mediamente una volta ogni 20 anni. E questo perché non ci sono risorse e forze per farlo più frequentemente. Non solo, ma a Viterbo, d’estate, quando il lavoro aumenta nelle campagne, molti ispettore vendono indirizzati verso l’agro pontino. E per chi resta, fare i controlli è veramente difficile. L’ispettore controlla a vista, facendo le domande direttamente a chi incontra sul posto. Non è così facile come si crede. Per cambiare le cose i lavoratori si devono organizzare e portare avanti tutti le stesse lotte. Questo è il vero tema e per questo il sindacalismo di base sta lavorando”.
Quali sono le categorie di lavoratori più sfruttate?
“Le categorie più sfruttate sono tutte quelle della filiera del valore dove il capitalismo stringe forte le prime catene. Una filiera che va dalla produzione al trasporto, quindi la logistica, fino ad arrivare alla vendita dove diventa più aggressiva per recuperare i costi di stoccaggio. Per cui anche il commercio, che sul nostro territorio sentiva lo sfruttamento meno di tutti, ha subito conseguenze importanti. Con lo svuotamento del centro storico e i profitti che si spostavano tutti lungo la Cassia nord. Poi c’è tutto il discorso dello sfruttamento dei migranti in agricoltura, nella logistica e nel commercio. La ragazza che ti vuole vendere un telefonino dentro a un negozio non è dipendente di quel negozio ma avrà chissà quale contratto con chissà quale compagnia telefonica, che però ha fatto un accordo con quel negozio e quella ragazza sta lì dentro a vendere tessere telefoniche”.
Oggi i lavoratori stranieri rappresentano il grosso dei lavoratori in diversi settori, tra questi l’agricoltura e il commercio. Quale è la loro condizione di lavoro, e quella di vita, dopo due anni di pandemia?
“La situazione dei lavoratori stranieri è peggiorata tantissimo. Innanzitutto perché, il più delle volte, sono costretti a vivere in case sovraffollate e condizioni igieniche che lasciano a desiderare. Ci sono poi problemi di lingua che ancora non sono stati superati ed è difficile trovare un traduttore. I lockdown hanno peggiorato la situazione perché hanno impedito di partecipare ai corsi di italiano che molte associazioni fanno. In questo modo il problema di comprensione della lingua è peggiorato e di conseguenza un lavoratore straniero ha meno possibilità di conoscere i propri diritti restando preda di caporali che sanno la lingua e gli raccontano quello che vogliono. Infine, la sanatoria non ha funzionato, se non meno di quanto ci si aspettasse”.
Perché un lavoratore dovrebbe interessarsi alla difesa dei diritti del lavoro, all’attività sindacale e invece non limitarsi a lavorare e portare a casa lo stipendio?
“I diritti del lavoro vanno difesi perché altrimenti lo stipendio a fine mese non c’è o è la metà di quello che dovrebbe essere. Poi, anche laddove c’è lo stipendio, il lavoratore potrebbe tranquillamente diventare vittima di aumenti di produttività. Quindi il suo stipendio si legherebbe all’aumento della produttività e alla crescita dei rischi che questo comporterebbe. In un paese dove ogni anno muoiono più di 1400 persone sul posto di lavoro. E non muoiono casualmente. Muoiono di lavoro. Quindi anche quando i lavoratori hanno lo stipendio devono lottare per molte cose. Per la sicurezza, per il tempo libero, per la diminuzione dei carichi e degli orari di lavoro a parità di salario. Abbiamo dei contratti collettivi nazionali che permette di far lavorare un operaio anche 48 ore a settimana… tornando indietro di almeno 50 anni”.
Oggi quanto può contare il sindacato sulla politica?
“Niente. Assolutamente niente. Non ci sono più referenti. Ad esempio, i lavoratori del commercio, e parliamo di due milioni a livello nazionale, quando ci sono state le elezioni hanno votato in massa il movimento 5 Stelle perché Di Maio aveva detto chiuderemo i centri commerciali la domenica e i festivi. A distanza di anni da quelle promesse non è stato fatto nulla. Anzi, la situazione è peggiorata. Con la politica c’è solo distanza, diventata ormai enorme. La cinghia di trasmissione tra sindacato e politica, come si diceva una volta, non esiste più. E non esiste più da quando sindacalisti famosi hanno votato il Jobs Act”.
Quale è il futuro immediato della lotta sindacale?
“Il futuro immediato della lotta sindacale è vedere il lavoratore come un lavoratore che ha una serie strutturale di problemi come cittadino. La casa, la salute, la sanità, la confederali. E’ questo il futuro del sindacato che si deve occupare di tutti i problemi del lavoratore, problemi che lo riguardano innanzitutto come cittadino. Non solo, ma il sindacato deve essere anche in grado di connettere il lavoratore precario e senza contratto con i lavoratori con i contratti a tempo indeterminato. Il sindacato deve lottare sui posti di lavoro ma deve poter anche tornare a lottare direttamente nei quartieri. Bisogna vedere il lavoratore come cittadino che ha problemi con la salute e con la casa. Il salario dipende anche da quanto paghi l’affitto, se riesci a pagare le bollette o se il contratto che hai firmato prevede o meno dei servizi medici”.
Daniele Camilli