AMATRICE RESISTENTE

Non si ha voglia di parlare e ti viene da bisbigliare, quasi fossi ad un funerale e la vedova del morto ammazzato fosse sempre, lì, in mobile, davanti a te

Viterbo -

Devastazione. Questa è l’unica parola che viene in mente trovandosi sul luogo che è stato martoriato dal terremoto. Ormai, che si stanno demolendo le poche mura rimaste in piedi, quello che appare all’inizio del paese di Amatrice è solo un cumulo di macerie. Se poi si pensa che sotto quei sassi c’erano delle attività, case e vite, il pugno allo stomaco arriva diritto e preciso.

 

Non si ha voglia di parlare e ti viene da bisbigliare, quasi fossi ad un funerale e la vedova del morto ammazzato fosse sempre, lì, in mobile, davanti a te. Anche, se per motivi di sicurezza, bisogna indossare il caschetto, ti viene voglia di toglierlo perché questa terra, piena di morti, è sacra.

 

L’antica Amatrice non esiste più, esistono solo le case moderne, intorno al centro storico, che male hanno resistito all’impatto. Amatrice, come ci raccontano i suoi abitanti e le persone delle frazioni vicine era un po’ come una piccola New York. Era il punto di riferimento burocratico e commerciale di tutto il circondario. Dopo c’era solo Ascoli.

 

Gli amatriciani, ora, sono in tendopoli o se ne sono andati in “case amiche”. Quello che appare chiaro dai loro discorsi è che non se ne vogliono andare al mare. Inoltre, anche se l’ordinanza n°388 ha messo a disposizione il Contributo di Autonoma Sistemazione, troppi hanno paura di andare a vivere in case agibili, ma non certificate come antisismiche.

 

Il Sindaco di Amatrice ha dichiarato che da venerdì tutti campi verranno smantellati. Dove andranno? E i viveri iniziano a scarseggiare, e uno spazio solidale, non statale, a poche centinaia di metri dal paese, è stato preso d’assalto dagli abitanti perché qua di negozi o supermercati non ce ne è nemmeno l’ombra.

 

Peggiore appare la situazione degli agricoltori ed allevatori che non possono certo permettersi di lasciare i loro campi e bestie. Si sono organizzati autonomamente ognuno in due, tre, quattro famiglie con roulotte e tende. Quest’ultimi sono al limite della sopportazione perché non capiscono il perché debbano lasciare le loro attività per andarsene chissà dove. Anita Supplizzi di Bagnolo, giovanissima, mangia pane e sangue ma lei da qua non ha intenzione di spostarsi. Ha cavalli, pecore, mucche, asini, yak e, insieme alla sua famiglia, si è rimboccata le maniche in maniera autonoma e, al massimo, chiede un pigiama in pile per affrontare l’inverno.

 

Qua la chiamano deportazione, non spostamento della popolazione. Nessuno vuole andarsene, vogliono stare, vedere, parlare e contare per quanto riguarda la ricostruzione di questa città. Non vogliono centri commerciali o new town, il terremoto dell’Aquila ha insegnato tanto. Sono sorti dei comitati spontanei che si stanno organizzando per interagire con le amministrazioni. Vediamo come andrà a finire.

 

Emanuela Dei