Usb- Cestes: India, Pakistan e Thailandia sono il nuovo Far East per le industrie italiane

Gli imprenditori, per aumentare la competitività sul mercato interazionale, hanno preferito spostare le produzioni all’estero: il costo del lavoro orario è di 4,1 euro in Romania, 5,0 euro in Lituania; contro i 35,1 euro di Francia i 32,2e euro di Germania e 28,1euro in Italia.

Viterbo -

È stata presentata dal Centro Studi Cestes, un collaborazione con il sindacato Usb, l’analisi della costruzione dell’Unione Europea e i suoi effetti produttivi, sociali e politici-istituzionali. Il fine è quello di analizzare la trasformazione del sistema produttivo italiano per ricostruire un intervento sindacale che affronti i nodi legati alle fabbriche e alla produzione su competizione internazionale.

 

Dopo la caduta del muro di Berlino paesi come Francia, Germania e Italia hanno trasferito parte della propria attività produttiva nei paesi dell’Europa orientale. Oggi il Far East è rappresentato da India, Pakistan e Thailandia dove è possibile pagare sempre meno i salari dei lavoratori e annullare le tutele del mondo del lavoro.

 

La privatizzazione degli anni ‘90 ha portato ad una deindustrializzazione dell’Italia che ha ridotto il peso dell’industria nazionale, provocando un aumento della disoccupazione e un difficile inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.

 

Nel 2004 hanno aderito all’UE paesi come Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria Lituania, Polonia, Slovenia e Bulgaria. Questi sono, immediatamente, diventati le basi produttive degli Stati più ricchi. La percentuale di delocalizzazione produttiva della Germania è del 21%. La Germania è stata la prima a sfruttare i vantaggi delle delocalizzazioni, L’Italia ha avuto uno spostamento delle fasi produttive nell’area balcanica, soprattutto in Serbia e Bulgaria. In quest’ultima si evidenzia la presenza di 500 grandi imprese italiane tra le quali Fiat, Golden Lady, Benetton, Pomea, Calzedonia.

 

Nel nostro paese ci sono 1700.000 addetti occupati nell’industria metalmeccanica. L’Italia è il secondo paese a base industriale dopo la Germania: e ha il primato per l’industria metalmeccanica per le piccole imprese, anche se la contrazione della produzione manifatturiera è del -1,9%, per il periodo 2000-2013. Il 35% del totale dell’economia italiana è, ancora, occupato dal settore industriale.

 

Lo sviluppo della produttività si è avuto con lo sviluppo tecnologico, la crescita di capacità tecniche e l’incentivazione del lavoro altamente qualificato per sostenere una competizione internazionale. Ma la nascita di nuove forme contrattuali atipiche, ha provocato un aumento della precarietà e la conseguente diminuzione del costo del lavoro. Gli imprenditori, per aumentare la competitività sul mercato interazionale, hanno preferito spostare le produzioni all’estero: il costo del lavoro orario è di 4,1 euro in Romania, 5,0 euro in Lituania; contro i 35,1 euro di Francia i 32,2e euro di Germania e 28,1euro in Italia.

 

I lavoratori dei settori esposti alla competizione internazionale sono penalizzati anche dal ruolo di una borghesia italiana stracciona e finanziariamente parassita, che vive di contributi pubblici e di proventi di privatizzazioni, sempre pronta a svendere le proprie imprese alle multinazionali estere. Tra il 2008 e il 2012, ben 437 aziende italiane sono passate in mani di acquirenti stranieri.

 

Gli elementi che emergono dalle analisi svolte, sono una grave condizione di disgregazione produttiva e sociale, senza un accenno ad inversioni di marcia. La possibilità di una risposta diretta di lotta e di conflitto non può che partire dalla capacità di una soggettività organizzata in grado di darsi un progetto di composizione sindacale adeguato.

 

L'industria sta diventando un terreno praticabile per Usb, anche grazie alle fuori uscite di FIOM e seguendo la moderna “catena del valore” fatta di logistica, circolazioni delle merci e circolazione del capitale, ritroveremo i soggetti di classe disponibili al conflitto.

 

Usb Viterbo